Non hanno neppure scritto il nome in fondo alla pagina. Non ce n’è bisogno: per loro Bernardo Caprotti è semplicemente il «Dottore», con la maiuscola e tra virgolette italiane. I 22.218 lavoratori dell’Esselunga chiamano così il principale, con rispetto ma senza distacco. E Caprotti a sua volta si rivolge a loro come «collaboratori», non subalterni. Egli stesso, in realtà, si è sempre considerato un lavoratore dipendente, come ha scritto nella lettera con cui nel 2013 ha lasciato le cariche operative. Non è un vezzo linguistico. Le parole riflettono il clima che regna nella catena di supermercati: l’imprenditore non è il padrone delle ferriere e le maestranze non sono braccia senza volto. I nomi sono importanti all’Esselunga: nel palazzo di Limito di Pioltello ognuno esibisce il proprio sul badge appeso al petto, compreso il patron.

Ieri Bernardo Caprotti ha compiuto 90 anni. E i suoi collaboratori hanno comprato una pagina sul Corriere della Sera e su The Wall Street Journal Europe per fargli gli auguri. Nel paginone del quotidiano milanese campeggiava un motto inglese, la lingua che ha portato fortuna al Dottore: «Never never never give up». Mai mai mai arrendersi. Sotto, gli auguri: «7 ottobre 2015. 22.218 collaboratori di un’Azienda straordinaria rendono omaggio al loro “Dottore” nel giorno del suo 90° compleanno». Sul Wsj il messaggio è più didascalico: « Born in 1925 and still going strong », nato nel 1925 e ancora sulla breccia. Messaggi di incoraggiamento e di un affetto discreto, com’è nello stile del brianzolo Bernardo Caprotti, figlio di una dinastia di tessitori. «Da mio padre appresi i fondamentali valori borghesi, la centralità e la continuità dell’impresa, la frugalità, il rispetto della parola data», ha scritto in Falce e carrello , il best seller che otto anni fa raccontò come funziona il business della grande distribuzione nelle regioni dove comandano le coop.

Fresco di laurea Caprotti fu mandato in Texas presso alcuni fabbricanti di macchinari tessili a «imparare i cotoni». Lì apprese a lavorare, il pragmatismo americano, «vedere, toccare le cose, prima di prendere qualsiasi decisione»; ma vide anche qualcosa ancora sconosciuto in Europa: il supermarket. Sei anni dopo Nelson Rockefeller importò in Italia quel modello di vendita e trovò a spalleggiarlo una pattuglia di imprenditori milanesi: i Crespi, allora proprietari del Corriere , Marco Brunelli (che oggi a 88 anni guida il gruppo Iper), e i Caprotti. «Ero l’unico che parlava l’inglese – si legge in Falce e carrello – ma più di questa gran qualità non avevo».

La Supermarkets italiani divenne la prima catena della grande distribuzione e l’insegna disegnata da Max Huber in seguito diede il nome all’Esselunga. Negli anni del boom economico, da erede di una dinastia di tessitori Caprotti divenne il pioniere nel Far West del commercio al dettaglio. Negli Anni Settanta e Ottanta, quelli della contestazione permanente, fu il primo nel suo settore a concedere il lavoro a turni e poi la riduzione dell’orario settimanale da 40 a 37 ore, ma anche a fronteggiare a muso duro gli scioperi. Stare dalla parte dei lavoratori e dei clienti non significa schierarsi con i sindacati.
È così che Esselunga è diventata una delle aziende italiane di maggior successo, dove le maestranze sono collaboratori e il capo è semplicemente il Dottore. Una cura maniacale per la qualità, un controllo costante, un modello organizzativo mutuato dagli Stati Uniti, un clima di rispetto e attenzione in cui è trasfusa anche la passione per le visual arts del capo, che ha fatto progettare alcuni dei suoi supermercati da architetti come Mario Botta, Norman Foster, Renzo Piano.

Dal canto suo, per decenni Caprotti ha sgobbato senza concedere interviste e impiegando il sabato per visitare i negozi e la domenica per tirare il fiato. Ha inventato le tessere fedeltà, gli scontrini a lettura ottica e le casse senza cassiere. Alla soglia degli 80 anni ha ripreso in mano l’azienda che gli sembrava vacillare (i manager furono spediti a casa su lussuose limousine) e l’ha riportata a macinare fatturato e utili mantenendo qualità e prezzi bassi. A 82 ha sferrato il fendente di Falce e carrello . A 85 ha affrontato con piglio deciso le controversie con i figli legate alle quote societarie. A 88 si è autopensionato per i postumi di un incidente che gli ha provocato «lunghe meditazioni e troppe stanchezze» e ha depositato il testamento dal notaio Carlo Marchetti di Milano. Mai mollare, caro dottor Caprotti: i suoi collaboratori non potevano farle augurio migliore.

Fonte: http://www.ilgiornale.it